Riceviamo e pubblichiamo

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Caro direttore, ecco un “pertinente aneddoto” cotto o crudo (decida Lei), a mia memoria, di come veniva e viene gestita, manipolata e realizzata tuttora la rete idrico fognaria nei nostri centri urbani. Quando lessi la notizia (nei primissimi giorni del terzo Millennio) della vendita dell’Acquedotto Pugliese all’Enel, al prezzo di 3.100 miliardi di lire, mi prese un groppo alla gola. Sebbene fossimo in pieno inverno già presagivo il gran caldo che avrebbe attanagliato l’estate seguente per tutte quante le critiche che poi, puntualmente, ci sono state con il loro massiccio riversarsi sulla stampa locale e nazionale e attraverso la televisione. Già durante la campagna elettorale per le elezioni regionali vi furono candidati politici che minacciavano sfracelli (come il neo eletto alla regione Puglia, on.le Raffaele Fitto, che promise accertamenti e indagini, almeno per quanto riguardava il vero prezzo e l'eventuale necessità di svolgere una gara regolare aperta anche ai più svariati Enti e privati investitori) prima che la definitiva vendita avvenisse tout-court, cioè attraverso il semplice passaggio organizzato in linea diretta tra il Ministero del Tesoro e l’Ente nazionale elettrico. Ma la cosa che più m'irritava era, non tanto capire perché l’Acquedotto doveva passare all’Enel, quanto perché nessun Comune pugliese non avesse alzato un solo dito a difesa del glorioso Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese (E.A.A.P., precedente denominazione del più grande acquedotto d’Europa, prima della sua trasformazione in AQP S.p.A.). Tralasciando i motivi che indussero i politici “romani” (che poi l’allora presidente del consiglio dei ministri, Massimo D’Alema, e il sottosegretario ai LL.PP., Luigi Bargone, grandi artefici della trasformazione, proprio romani non lo erano, conoscendo benissimo le loro origini pugliesi. Infatti, il primo è di Gallipoli e il secondo di Brindisi) mi soffermo a sottolineare, in particolare, il silenzio dei Sindaci. Come si sa, ogni cittadino ha diritto all’allaccio della propria abitazione alla rete idrica e a quella della fogna, laddove esistono i presupposti, ossia l’esistenza sulle strade dei relativi tronchi pubblici di distribuzione idrica e contestuale smaltimento dei liquami della fognatura. Tutte queste necessarie infrastrutture originariamente venivano realizzate a spese dei comuni, interessati all'esecuzione delle urbanizzazioni, attingendo in parte a finanziamenti o contributi dello Stato per quanto riguarda la rete idrica, mentre le principali reti della fognatura (centri storici) erano e sono ancora oggi di esclusiva proprietà delle civiche amministrazioni. Con l’avvento poi, a partire dal 1967, delle nuove leggi statali urbanistiche (le cosiddette: “ponte”, “Bucalossi”, “Galasso”, ecc..) e di quelle regionali (la “56” per la Puglia) e altre successive, con le quali venne introdotto l’obbligo dell'esecuzione in proprio, ovvero la monetizzazione delle opere di urbanizzazione primaria a carico dei lottizzatori dei suoli edificatori, gli oneri per la costruzione dei tronchi idrici e fognari vennero definitivamente accollati ai privati. Infine, con l'entrata in vigore della legge per la salvaguardia dell’ambiente, la cosiddetta legge “Merli”, veniva di fatto anticipato anche l’onere di smaltimento e depurazione dei reflui, anch’esso posto a carico dei cittadini fruitori. Quasi tutti i comuni da alcuni anni ormai usano costruire in proprio le condotte principali con propri fondi e con l’esperimento di gare d’appalto dirette, senza alcuna intermediazione dell’AQP, per poi darle in gestione allo stesso Acquedotto. Pertanto, l’Acquedotto pugliese essendo diventato ormai un semplice gestore delle reti idrico-fognarie e degli impianti di depurazione non più di sua proprietà, emerge drammaticamente l’interrogativo: “Come poteva essere possibile alienare un bene senza esserne proprietario, e senza aver interpellato prima Regione, Province e, principalmente, i Comuni diretti interessati?” Forse si voleva tentare l’affare di Totò, ovverosia la vendita del Colosseo o della fontana di Trevi? Il comune di Monopoli, nel giro di qualche decennio ha sicuramente quadruplicato la sua rete idrico-fognaria e ha potenziato non solo il vecchio impianto depurativo di Torre d’Orta, unitamente alla costruzione di altri due impianti di sollevamento dei liquami di fogna (quello di Portavecchia e quello di cala Batteria), ma ha anche effettuato la costruzione di un nuovo grosso collettore della fogna attraverso tutta la città che serve ad alleggerire il ricevimento di tutti gli scarichi che arrivano dalla condotta forzata dalle rinomate località balneari di Santo Stefano, Lamandia, Capitolo e Losciale.

Concludendo, vorrei ricordare che già durante gli anni Sessanta e Settanta molti scavi, propedeutici all’interramento delle tubazioni, venivano effettuati a mano con manodopera locale, reclutata in città e nelle campagne, a spese della civica Amministrazione e per far fronte anche allora alla crescente disoccupazione operaia. Oggi ci sono i cosiddetti Ato (Ambiti territoriali ottimali) a sovrintendere la realizzazione di tutte le opere igienico-sanitarie dei Comuni pugliesi. Ma, in questi tempi di forte crisi occupazionale, di lavorazioni con impiego diretto di manodopera disoccupata nessuno ne parla. Come mai?
 
Franco Muolo