Monopoli è tutta un cantiere!

255

Monopoli è tutta un cantiere! Fu l’esclamazione stizzita del prof. avv. Remigio Ferretti, eclettico due volte sindaco di questa città negli anni Sessanta, quando un occasionale visitatore gli rimproverò che Monopoli era “ferma”. Quel termine ricorreva spesso a quei tempi. Si usava aggredire anche il limitato incedere della civica amministrazione gridando: “l’ufficio tecnico è fermo”! Quando non venivano rilasciate abbastanza licenze (il termine concessione edilizia era ancora di là da venire). Oppure quando non si aprivano abbastanza cantieri comunali di lavoro per lenire la forte disoccupazione (allora per disoccupazione s’intendeva quella a causa della quale se un disoccupato non percepiva i fondi Eca – Ente comunale assistenza – non aveva veramente niente di che sfamarsi). Sì, in effetti, alla “caduta”, qualche mese prima della fine del secondo mandato, di Ferretti reo, come allora si diceva in giro, per non aver adottato il futuristico Piano regolatore a firma dei due associati e prestigiosi urbanisti dell’epoca Chiaia e Napolitano (fratello del nostro attuale Presidente della Repubblica), e protagonista assoluto nell’aver creato il famoso “effetto città”, Monopoli sembrava veramente una città-cantiere. Decine di mastodontiche gru svettavano in cielo nel pieno centro nurattiano a fianco degli scheletri in cemento armato delle nuove costruzioni, alte alcune anche oltre sette piani. La scorpacciata edilizia fu talmente abbondante che all’inizio degli anni Settanta, un po’ per colpa della prima crisi petrolifera e anche perché si era costruito così tanto, l’appetito non si era del tutto placato, giacché dopo l’entrata in vigore della cosiddetta “legge ponte” (6 agosto 1967, n. 765) aveva fatto spuntare in periferia tanti pilastri isolati come funghi che dovevano rappresentare le strutture essenziali delle future costruzioni. Apparve subito necessario alla successiva amministrazione, guidata dal sindaco avv. Giuseppe Demarino, mettere un freno all’eccessiva edificazione in atto in città, anche per equilibrare e soddisfare le aspettative edilizie nel restante territorio rurale, tanto che quando il romano prof. arch. Luigi Piccinato presentò la bozza di variante generale al piano regolatore prima elaborato dall’arch. fiorentino Domenico Capitanio (decimato dai superiori organi di controllo, limitando la sua validità al solo centro urbano con esclusione delle campagne) fu immediatamente battezzata “piano verde”. Ma, contrariamente da come appariva con i suoi innocui colori verdolini, quel Prg (ancora oggi in vigore) nascondeva una possibile devastazione oltre che della lama Belvedere anche del nostro ridente agro. Sto parlando della presenza nel Piano delle tante maglie residenziali quanti sono i nostri centri di contrade, che dovevano consentire a tutti i “fortunati” di poter ulteriormente cementificare su lotti singoli in presenza di 2000 metri quadrati di terreno di pertinenza. Meno male che la sezione urbanistica regionale fiutò il trucco inserendovi l’obbligo di eseguire preventivi piani particolareggiati pubblici o lottizzazioni private a carico di tutti i proprietari dei suoli. Gli accordi, come s’è visto quasi impossibili fra i privati, ancorché l’inerzia delle amministrazioni finora succedutesi (una carente elaborazione d’ufficio dei piani particolareggiati esecutivi) hanno fatto sì che le eccessive cubature già previste quasi quarant’anni fa non si siano fortunatamente potute realizzare. Ho voluto raccontare tutto questo perché il Pug, che oggi sta per essere riportato all’esame del Consiglio comunale, contiene gli stessi “connotati” edificatori, visto che tutte quante quelle maglie residenziali sono state interamente confermate. Immagino per far apparire ancora  Monopoli (e questa volta comprese le contrade) tutta un cantiere!

Franco Muolo