La storia del guarda bosco monopolitano Pietro Moretti
M’onne j-ére, m’onne j- e^, m’onne àv’a j – èsse, ovvero quando la calunnia non paga oppure quando il diavolo (calunniatore) fa le pentole ma non i coperchi.
Che gli antichi detti tramandati oralmente dai nostri avi, derivino dalla saggezza popolare, è cosa notoria. Ma è altrettanto notorio il fatto che, il significato e l’assunto intrinsecamente collegato ad ognuno di essi non tramonti mai, essendo gli stessi validi per tutte le stagioni della vita di ogni essere umano. Tale vuole essere infatti, un vecchio detto monopolitano che, espresso nel nostro dialetto così recita: “M’onne j – ére, m’onne j – e^, m’onne àv’a j – èsse”, e cioè anche in base alla definizione in italiano che ne dà, il nostro Luigi Reho, illustre e dotto linguista del vernacolo cittadino: “Mondo era, mondo è, mondo sarà”. Detto che, nella sua semplicità, significa, stigmatizza una profonda immutabile verità che, può essere collegata a tante situazioni, a tanti comportamenti individuali e collettivi ripetitivi, più o meno leciti, che sono accaduti nel passato, sono presenti tutt’oggi e lo saranno anche in un futuro più o meno lontano. In tale ottica può benissimo rientrare un’episodio accaduto nell’Ottocento e scartabellato fra gli altri, negli atti dell’archivio di Stato di Bari, attorno alla figura e all’operato di un guarda bosco di Monopoli (così venivano chiamate allora le attuali guardie forestali), certo Pietro Moretti, personaggio già peraltro menzionato in queste pagine relativamente alla presenza del lupo nelle contrade e nella selva di Monopoli, in periodo pre-unitario, e, alla cui custodia e sorveglianza erano affidati, nell’anno 1838, i boschi di Tallinajo o Tallinaro e Malvisco, siti più o meno nella zona tra Laureto e Canale di Pirro (Tallinaro) e Locorotondo ed Alberobello (Malvisco), dove esiste tutt’oggi anche l’omonima Masseria in loc. Coreggia, che già facenti parte dei molti feudi del Baliaggio di S.Stefano, erano poi passati nel 1813 a seguito dell’emanazione delle leggi sull’abolizione e soppressione degli ordini religiosi e la conseguente confisca dei loro immensi patrimoni, nella disponibilità del Demanio, del Reale Albergo dei Poveri e quindi di seguito e più tardi dei privati.
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Difatti, il 30 ottobre di quell’anno, un esposto, rigorosamente anonimo, proveniente a quanto sembra da Fasano, veniva indirizzato all’attenzione di Giordano de’ Bianchi Dottula, marchese di Montrone già sin dal 1831 (lo sarà poi sino al 1842), Intendente di Terra di Bari. Missiva nella quale venivano denunciati fatti gravi, in apparenza molto precisi, dettagliati e circostanziati, relativi a presunti episodi di estorsione (oggi si direbbe di concussione), dei quali si sarebbe reso per l’appunto responsabile il detto guarda bosco nell’esercizio delle sue funzioni e più precisamente: “avere permesso ad un certo Vitantonio Mirabile di Fasano, alias il Saettullo, di tagliare alberi nel bosco di pertinenza del Reale Albergo dei Poveri, in tenimento di Locorotondo, estorcendogli la somma di 10 carlini poi consegnati per mano di Antonio La Cirignola di Fasano”, ed inoltre sempre per danni al medesimo bosco “24 carlini estorti al massaro D.Paolo Pinto di Locorotondo e consegnati da una persona, nativa di Alberobello”, del quale però non si menziona il nome; ancora per ulteriori “24 carlini estorti ad un certo Andrea di Fasano, per alberi tagliati” nel bosco prima citato ed anche per aver permesso allo stesso “l’occupazione” e quindi “l’aggregazione alla propria vigna di circa due stoppelli di terra” appartenenti al Demanio, “somma che gli fu consegnata da Michele Marino, detto il Giumentaro” ; poi per altri “6 carlini estorti a tal Vitantonio Neglia, alias Pasqualicchio, per danni agli alberi nel bosco di Malvisco, appartenente al Regio Demanio di Fasano e consegnati per mano di Ignazio Masella di Locorotondo”. L’anonimo denunciante, poi, terminava il suo scritto precisando che “per tali estorsioni, si potranno sentire li nominati soggetti, e propriamente il ripetuto Ignazio Masella”, e dulcis in fundo, l’affermazione davvero molto forte che “tutti i villici di quella contrada non comprano mai fuoco, ma si provvedono da detti boschi per una cena, o poco vino che danno al riferito Pietro Moretti”, e quindi la richiesta di una verifica e l’allontanamento del medesimo dalla custodia. Le successive indagini, in merito ai fatti denunciati, subito ordinate, in data 18 nov. 1838 dall’Intendente all’Ispettore del servizio forestale, Antonio Pellegrini e da questi girate per competenza al Guardia Generale Vito Argitano, approdarono però a qualcosa di diverso, che evidenziarono la completa estraneità del Moretti da quanto addebitatogli anonimamente. Tanto infatti si rileva dalla relazione riservata, redatta dallo stesso Argitano in data 18 dicembre e poi inoltrata il successivo giorno 21 al Bianchi Dottula, che nel merito precisa i danni ai boschi menzionati e consistenti “nel rinvenimento a Tallinajo di sei alberi recisi a fior di terra e di sette rami”, risalivano perlomeno ad un periodo compreso tra sei mesi e due anni prima, mentre “per Malvisco il taglio di complessivi undici alberi”, risaliva ad almeno sei mesi /un’anno prima. Circa poi la ventilata occupazione ed usurpazione del terreno demaniale per due stoppelli di terra (poco più di 10 are) poi aggregati alla propria vigna da un certo Andrea Costantino, risultò che lo stesso aveva riedificato proprio a confine con il Demanio un muretto lungo il quale poi erano state piantate delle viti che avevano non più di tre anni e pertanto, ribadeva la relazione dell’Argitano, se violazione c’era stata, la medesima risultava molto risibile è limitata ad una profondità di non più di due palmi (cioè circa 52 cm); che il Moretti, inoltre a detta “degli affittuari dei fondi in parola, non risultava colluso con nessuno dei nominativi indicati nell’esposto e che anzi, più volte, si era cimentato con persone che pretendevano recidere qualche albero solo per regalarlo”. Infine che, “dall’interrogatorio dell’Ignazio Masella di Luogorotondo, di professione calzolaio”, venne fuori “moltissima prevenzione” nei confronti del Moretti, tanto che lo stesso Guardia Generale, nella sua relazione, parla chiaramente del tentativo palese di screditare quest’ultimo, “con la speranza forse di occuparne la carica”. Ultima ma significativa cosa poi ribadita e sottolineata in detta relazione dal’Argitano nel chiudere la medesima, il fatto che essendo i boschi in parola distanti rispettivamente 11 e 9 miglia (circa 16 e 13 km) da Monopoli, luogo di residenza del Moretti, i medesimi non potevano “essere umanamente custoditi da una guardia a piedi”, quale appunto era il guarda boschi in parola, ma “occorreva affiancargli una guardia a cavallo stabilizzata in Alberobello o Luogorotondo”, luoghi più vicini ai boschi da custodire, e che “detti boschi saranno comunque sempre danneggiati dai proprietari dei terreni limitrofi poiché non avevano altri posti dove legnare”.
Relazione quindi che scagionando completamente il povero guarda bosco monopolitano, ristabiliva, a dispetto degli invidiosi e anonimi calunniatori e senza ombra di dubbio, la pura verità sull’intera vicenda.
Antonio Comes