Anno Domini 1087, anche Monopoli e Polignano nella traslazione di S. Nicola di Myra

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Si sono conclusi nei giorni scorsi i cosidetti festeggiamenti “decembrini” nel capoluogo barese in onore di S. Nicola di Myra, patrono della città pugliese e sicuramente simbolo ed “intriso” (ci si passi il termine senza peccare di blasfemia) di una “baresità”che ormai impregna e lega il santo di Myra in un tutt’uno con il culto e la devozione che lo accompagnano. Una “baresità” dunque sventolata per questo a tutto spiano nelle manifestazioni religiose, civili, artistiche, musicali correlate, che trae indubbiamente le sue origini più intime e profonde sin dal lontanissimo 1087, quando le tre caravelle al comando dei capitani Alberto, Giovannoccaro e Summissimo, approdarono nel porticciolo di S.Giorgio, con le reliquie del santo, e sulle quali erano imbarcati i protagonisti dello storico furto, ma che resta anche permeata da un pizzico di “monopolitanità” e “polignanense”, quella che da sempre traspare ed emerge inconfutabilmente dai documenti e dalle antiche pergamene relative alla traslazione. Ben 75 difatti e forse anche più, furono e non tutti chiaramente baresi, i protagonisti della vicenda, secondo studi condotti nel merito, non molti mesi fa, da padre Gerardo Cioffari, esimio ed erudito studioso nonché direttore del Centro Studi Nicolaiani, ma dei quali, per ragioni oscure ed ignote, solo 62, furono a suo tempo riportati ed inclusi in una pergamena redatta presumibilmente attorno all’anno 1175, da qualche tesoriere della Basilica di S.Nicola, al fine di poter agevolmente stabilire, al termine delle feste di Maggio, mese deputato alla traslazione, la percentuale sulle entrate da devolvere all’erede di ciascun marinaio che aveva partecipato all’impresa del “sacro furto” e al quale poi l’arcivescovo Elia (+1105), aveva riservato questo privilegio e che secondo la loro estrazione sociale sono stati poi classificati da F. Babudri nella sua “Sinossi critica dei traslatori nicolaiani di Bari”, in 4, “Nauclerii” (comandanti o padroni delle navi), in 13, “Nobiles homines” (aristocratici bizantini o longobardi), in 9, “Presbyteri et clerici” (sacerdoti e chierici), in 9, “Mercatores” (mercanti) ed infine in 26, “Naute o marinerii” (marinai e ciurma).

(continua)


Circa la loro origine, infine la approfondita indagine condotta da padre Cioffari, ha rilevato che almeno un quarto dei partecipanti all’impresa non sembra essere stato di origine dichiaratamente barese e tra questi perlomeno quattro monopolitani, di cui vengono tramandati ai posteri i nomi: Bisanzio, Maraldizio, Dalfio e non ultimo Nicola, citato, nella recensione beneventana del protonotario Nikifori o Niceforo, come uno dei cinque che sottrasssero qualche reliquia, una volta a bordo delle caravelle e che poi con gli altri dovette restituire e altrettanti polignanesi, la cui presenza numerica fu di poco più sostanziosa: Ildemanno, Giovanni, Miro, Maione, Pandolfo ed un altro Giovanni. Personaggi che infine assieme agli altri componenti della spedizione, ebbero tra i privilegi prima citati, concessi dall’arcivescovo Elia e poi ribaditi, dopo la morte di questi nella pergamena di Leone Pilillo del giugno 1105, quello di riposare “extra ecclesiam iuxta parietem” cioè quello di avere sepoltura lungo la parete esterna della Basilica di S.Nicola, dove sono visibili a tutt’oggi indicazioni in merito, quasi eterni custodi e immemori testimoni, di una impresa incredibile e che poi tanto ha concorso a favorire quella “baresità” dianzi accennata, ma…molto permeata ed infarcita a quanto pare anche da nostri concittadini e dai…cugini polignanesi. Nominativi insomma questi, che pur consegnati e destinati inevitabilmente all’oblio del tempo, sepolti come sono da oltre nove secoli di storia, riemergono quasi “prepotenti” dando ulteriore lustro e visibilità alle due cittadine pugliesi, e che nel contempo dovrebbero esortare ed impegnare le stesse in una seria e convinta ricerca storica ed agiografica, molto difficile ma non impossibile da condurre in merito.

 

Antonio Comes