Quando i lupi ”infestavano” le contrade e la “silva” monopolitana
La cronaca di qualche settimana fa, ha restituito la matematica certezza che il mammifero trovato morto il 10 agosto u.s. a margine della strada Santeramo-Laterza, sia un lupo. La conferma è giunta da una indagine genetica effettuata in merito su un campione di tessuto muscolare prelevato dall’animale ed analizzato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Foggia, che così ha avvalorato in maniera definitiva quanto in prima istanza sostenuto dal Servizio Ambiente del Comune murgiano e dal Servizio Veterinario dell’Asl di competenza, relativamente ai tratti tipici del Canis Lupus, come già classificato nel 1758 dal medico e naturalista svedese Carolus Linnaeus (1707-1778), considerato il padre della moderna classificazione degli organismi viventi. Quindi dopo tanti secoli di caccia scriteriata ed attuata con ogni mezzo, lecito e non, ivi compreso l’uso dei bocconi avvelenati, il lupo, anche grazie ad una più stringente normativa ministeriale e legislativa protettiva varata negli anni 1971 – 1976 e poi recepita nel 1992 con la legge quadro n°157 che disciplina tutta la materia della caccia e tutela della fauna selvatica, ricolonizza tutta la dorsale appenninica, nel cui sistema meridionale e come appendice ricomprende anche la Murgia pugliese e nello specifico barese, arrivando oggi giorno a stimarsi su tutto il territorio nazionale una presenza compresa tra i 500 e gli 800 esemplari. E’ questo costituisce certamente un passo avanti, verso una specie selvatica in chiara prospettiva di estinzione, da sempre considerata essenzialmente nociva e non anche come elemento di equilibrio naturale della fauna selvatica esistente. Detta specie, difatti, è stata largamente perseguitata e cacciata in ogni epoca, incentivata com’era lautamente dalle autorità di ogni tempo, e che permise addirittura, sia pure più diffusamente in altre regioni italiane, l’esistenza di una particolare categoria, quella dei cosiddetti “lupari”, che vivevano unicamente e bene sulle taglie riscosse per l’uccisione dei lupi,
(continua)
Le prime notizie certe di tale diffusa pratica, risalgono addirittura al ‘500, ma avvicinandoci più alla cosiddetta epoca moderna, uno spaccato, molto attendibile pre-unitario, ci viene offerto dall’esame di quanto reperito ed esistente nell’archivio storico del Comune di Monopoli, non molto in verità e che abbracciando un arco temporale dal giugno 1822 al febbraio 1859, offre comunque un significativo, se pur parziale quadro della presenza del lupo e della sua caccia nell’agro, nelle contrade e nella “silva” di Monopoli. Dove appunto nei primi anni dell’ottocento vigeva e veniva applicato il Real Decreto del 16 maggio 1810, promulgato da Gioacchino Napoleone, che, per sopraggiunte motivazioni eccezionali concede “de’ premi a chi ammazzi de’ lupi”, poi ripreso a Restaurazione avviata, nel 1815, da Ferdinando IV di Borbone con Decreto del 31 ottobre, e promulgato il 19 dicembre dello stesso anno. Ed infine riconfermato da un altro Real Decreto del 18 ottobre 1819, che contemplava appunto la necessità e l’autorizzazione alla cattura e all’uccisione per “pubblica incolumità” di esemplari di lupo, e, preferibilmente di lupe gravide e lupacchiotti, dietro un congruo compenso di diversi ducati, poiché lo stesso veniva considerato principalmente come belva pericolosa, quasi sempre portatore di rabbia, capace di avventarsi anche su uomini e ragazzi, oltre ad arrecare naturalmente notevoli e “perniciosi” danni a greggi ed armenti. A tal proposito, già il 14 giugno 1822, l’Intendenza di Terra di Bari autorizzava il Sindaco dell’epoca Francesco Manfredi a “prelevare dal fondo per gli imprevisti la somma di docati cinque in premio a Vitantonio Brescia per avere lo stesso ucciso cinque lupacchini” ed ancora lo stesso ente appena in data 29 luglio dello stesso anno e rispondendo al rapporto inoltrato dal Sindaco in data 26, scriveva: ”Giusta l’art. 4 del Real Decreto de’ 19 dicembre 1815 si accorda il premio di Docati otto a coloro, cui riesce di uccidere una lupa gravida Ella quindi si compiacerà far pagare la somma a cotesto D.Giuseppe Lentini, gravando mandato sul fondo degli imprevisti…”. Nominativo quest’ultimo che ritroviamo poi, in un elenco di 41 nominativi, composto quasi interamente da notabili, galantuomini e proprietari terrieri appartenenti alle classi medio alte dell’epoca e comunque alle famiglie più in vista, tra le quali Turchiarulo, Di Mola, Romanelli, Francese, Santoro, Capitanio, Sanvito, Carbonelli, Ghezzi, Bellantuono, Manfridi, Guida, Farnararo, Indelli, Antonelli, Rota, D’erchia, Garrappa, Marchitelli ed altri, la presenza dei quali si lega ad inequivocabili interessi personali da difendere oppure al solo “piacere “ di poter partecipare alla caccia ai lupi, cosa da non tutti i giorni. Altro compenso di “docati otto”, viene poi liquidato il 9 marzo 1827 al guardiano rurale Giulio Garrappa, per “l’uccisione di una lupa, gravida di due lupacchi”. Purtroppo, va precisato che in merito agli episodi testè riferiti del giugno-luglio 1822 e marzo 1827, la mancanza di probante documentazione non ci permette di identificare i luoghi di cattura e di uccisione dei soggetti selvatici. Cosa invece, sia pure con un notevole salto di anni, è possibile nel 1848, anno dello scoppio della 1.a guerra d’indipendenza italiana, quando è data di rinvenire una dichiarazione rilasciata il 25 agosto, da tale “Giovanni Colucci di Donato di condizione massaro, che domiciliato alla contrada Cavallerizza (storica contrada tra Monopoli ed Alberobello), presenta a don Nicola Taveri, 2° eletto del Comune e funzionante da Sindaco una lupa di circa due anni, non gravida, ammazzata il giorno prima nelle terre boscose della masseria detta Terra Nuova (l’odierna Terranova), chiedendo il relativo compenso di 5 ducati…”.- Notevoli e frequenti, anche in quell’epoca, furono anche i tentativi di frode, che giustificarono l’emissione, da parte delle autorità competenti, di apposite e più stringenti norme per contenere il fenomeno che si presentava evidentemente piuttosto diffuso. Se ne trova, difatti riscontro nel 1849, il 19 settembre, quando ad un “bracciale tale Vito Natale Minelli che dichiarava a Michele de Martino, 2° eletto del Comune e funzionante da Sindaco che era in congedo, di aver preso in una tagliola sistemata sul Monte S.Nicola nella nottata del giorno precedente una lupicina di circa un anno, uccisa poi con una scure, venne imposto di mozzare le orecchie alla “belva” in presenza dello stesso, assistito come testimone dal 1° commesso Filippo Manfredi”. Al Minelli venne poi elargito il compenso di venti carlini. In tanta truculenta e sanguinaria atmosfera che autorizzava la caccia al nocivo, con tutti i mezzi possibili ed immaginabili, si colloca poi il 17 giugno 1851, la dichiarazione rilasciata sempre allo stesso Michele de Martino congiuntamente da “Francesco Paolo Rotolo di Angelo Giorgio, Natale Rotolo di Francesco Paolo, coloni proprietari fittuari della masseria detta Paretano, in contrada la Selva, di pertinenza di D. Nicola Indelli Bovio e dal Guardaboschi del Reale albergo dei poveri Pietro Moretti. Con i primi due che mostrarono ben 6 lupicini uccisi di circa un mese, prelevati “con destrezza” dalla tana in assenza della madre e con il Moretti che trovatosi in giro per il suo ufficio e resosi conto dell’accaduto, appostava ed uccideva, a poca distanza dalla tana una lupa definita “mostruosa belva”. Anche in questo caso viene rispettata la normativa vigente ed in presenza del sostituto del Sindaco, vengono mozzate a tutti gli esemplari uccisi le orecchie, al fine di poter riscuotere i relativi compensi, che poi comunque soggiacendo a questioni interpretative del vigente Decreto Reale del 18 ott. 1819, necessitano addirittura di una apposita votazione decurionale in data 13 ottobre, e successivamente liquidati in ragione di 12 ducati per la lupa e di 6 ducati per i sei lupicini, che a quanto pare erano stato catturati ed uccisi dai Rotolo nel loro “covile” e non nella tana come da loro dichiarato in prima istanza nel verbale con “destrezza”. L’ultimo episodio infine, in ordine di tempo di cui si è potuto avere contezza risale al 13 febbraio 1859, quando Sindaco Francesco Palmieri, un certo Costantino Indiveri, Capo Guardia Forestale del Comune, presentando il corpo di una lupa, di circa due anni, ammazzata il giorno prima nelle ”terre boscose della masseria detta S.Teresa”, richiede il compenso di otto ducati oltre alla gratificazione prevista da una apposita circolare ministeriale del 23 aprile 1845, dietro il rituale taglio delle orecchie a comprova del fatto. Null’altro purtroppo, si evince dalla scarna, arida e burocratica documentazione in atti, se non che forse e dalla ampia letteratura esistente in merito, che la specie di lupo che in detti anni era presente ed “infestava” le nostre contrade “più boscose”, fosse una sottospecie del Canis Lupus, detta “italicus” o “lupo appenninico”, più piccolo rispetto al lupo comune e che nella realtà odierna sia presente sulla dorsale appenninica del nostro beneamato stivale.
Antonio Comes