Ci scrive l’Ing. Deleonibus: Nessuna superficialità sul dissesto idrogeologico

232
Mentre il PUG è stato approvato, dopo il maltempo dei giorni ormai trascorsi, mi sembra doveroso fare il punto sul dissesto idrogeologico, fenomeno che in Italia negli ultimi 50 anni ha provocato 3448 vittime. Infatti, dal 1918 l’Italia è stata colpita da 5.358 grandi alluvioni e 11.455 frane. In media, si tratta di oltre 220 fenomeni l’anno, uno ogni 36 ore. Il dissesto idrogeologico causa una media di 6,8 morti al mese. I comuni italiani a rischio sono 2.960. Gli italiani che vivono nelle zone pericolose sono 23 milioni. Per fare fronte alle calamità, negli ultimi 30 anni sono stati spesi 210 mila miliardi, circa 7 mila l’anno. Uno studio condotto nel 2003 dal Commissario europeo della Ricerca ha rivelato che l’Italia si colloca al primo posto in Europa per le vittime d’inondazioni e alluvioni (38%), seguita da Spagna (20%), Francia (17%) e Gran Bretagna (12%). In Puglia esiste una situazione di rischio per 167.139 abitanti, 162 scuole e 11 ospedali.

Benedetto Croce, Ministro del V Governo Giolitti, sosteneva nella Legge Rosadi (l'11 maggio 1922, la legge (n. 778) fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 21 giugno, quattro mesi prima della marcia su Roma), voluta per reagire agli sventramenti del centro storico di Firenze, che “il paesaggio è la rappresentazione materiale e visibile della patria, con i suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suolo e presupposto di ogni azione di difesa delle bellezze naturali”. Il dato peculiare caratterizzante il paesaggio italiano è il consumo di suolo.

 

(continua)

Alcuni urbanisti affermano che i nove decimi dell’edificato italiano sono sorti in Italia negli ultimi 50 anni. Disastri e dissesti traggono origini nell’assenza di pianificazione. Pianificare nell’uso del territorio significa coordinare all’interno di un quadro di riferimento generale. Giorgio Ruffolo, economista e Ministro dell’Ambiente (I Governo Goria, I Governo De Mita, VI Governo Andreotti, VII Governo Andreotti), sosteneva che la pianificazione era detestata “dai pragmatici dell’intrallazzo come dai rivoluzionari della chiacchiera“ ma che essa stava “dalla parte dell’ordine vitale e della libertà”. La Puglia di oggi, la Monopoli di domani sono forse il prodotto del più grande processo di trasformazione del territorio: “la città diffusa”, questa immensa melassa edilizia che si spalma occupando tutto come una colata di acciaio. Il cemento invade i suoli agricoli, li consuma, li urbanizza.

Le cause del dissesto idrogeologico sono naturali, ma nel caso italiano, in particolare, sono accentuate, se non provocate, da trascuratezza o da interventi sbagliati dell’uomo sul territorio. Infrastrutture e insediamenti producono effetti sul regime idraulico e idrologico: nella formazione delle piene qualsiasi intervento, che modifica le caratteristiche naturali del suolo, genera effetti immediati. Nella realizzazione delle infrastrutture viene modificata la permeabilità dello stato superficiale del suolo. Costruire strade, capannoni, piazzali pavimentati equivale a ridurre notevolmente l’infiltrazione delle acque. L’impermeabilizzazione dei suoli, dovuta a urbanizzazione crescente e industrializzazione, comporta l’aumento del valore del deflusso superficiale. Le pavimentazioni e le coperture hanno minore scabrezza del suolo naturale, e questo determina nel flusso dell’acqua della pioggia una maggiore facilità di movimento, e ingenti masse di acqua si muovono a grande velocità da un punto all’altro. Tutto questo fa ridurre i tempi di corrivazione, aumentando le probabilità di piene elevate e improvvise. Strade e ferrovie, in particolare, con i loro lunghi rilevati, rappresentano una lesione della continuità della superficie del suolo, ed esercitano in tal modo un effetto barriera alle acque che scorrono in direzione perpendicolare a esse, trasferendo da un punto all’altro cospicue portate. Si aggiunga l’effetto delle canalette di scolo poste ai lati delle corsie, che raccolgono l’acqua scolante delle pavimentazioni e la concentrano in punti posti lungo il percorso della strada. Già il solo lavoro di sbancamento, con l’esecuzione di scavi, e il trasporto di terra, è causa di modifiche della permeabilità e della configurazione del suolo, con effetti sia sul convogliamento delle acque che scorrono, sia sulla quantità di acqua che s’infiltra nel sottosuolo.

Uno strumento importante per il contenimento del rischio è la direttiva 2007/60/CE che consente di valutare e gestire il rischio da alluvione. La direttiva prevede che gli Stati, entro il 2011, facciano una valutazione preliminare dei rischi d’inondazione dei bacini idrografici del proprio territorio e delle zone costiere. Alla presenza di un’elevata probabilità di danni da alluvione si dovrà, entro il 2013, definire le zone sondabili e le mappe dei rischi d’inondazione. Infine, entro il 2015, si dovranno completare i piani di gestione dei rischi. Ad oggi però questa direttiva non è stata ancora recepita dalla legislazione italiana, e le risorse per gli intereventi sul dissesto sono poche e insufficienti: la tutela del territorio e dell’ambiente è passata dai quasi due miliardi di euro del 2008 (fondi di bilancio) a poco meno di 600 milioni nel 2010. Infine: lo schema di accordo di programmazione e di finanziamento d’interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico attribuisce al Ministero dell’Ambiente la gestione diretta dei fondi per attuare gli interventi, emarginando le regioni a individuare le azioni prioritarie, affidandone, però, alla società SOGESID, del ministero dell’Ambiente, l’elaborazione e la pianificazione. Le risorse per la riduzione del rischio idrogeologico sono briciole rispetto ai 231 miliardi di euro destinati alle cosiddette opere strategiche, identificate non sulla base di una definizione di “opera strategica”, ma da accordi con le Regioni. Ad oggi tutti i Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) sono stati completati. Consapevolezza del rischio, mappatura del territorio con definizione del livello di rischio, quantificazione dei costi d’intervento e messa a punto degli strumenti operativi, costituiscono il quadro operativo di ciò che si deve fare. Dopo Sarno fu quantificata in 40 mld di euro la spesa per la messa in sicurezza del territorio italiano. Nel 2009 il bilancio della Direzione protezione del suolo del Ministero dell'Ambiente ammonta a 198 milioni di euro! La riorganizzazione del Ministero dell'Ambiente ha comportato la soppressione della segreteria tecnica della Direzione difesa del suolo, cioè dell'organismo tecnico che analizza i progetti di messa in sicurezza del territorio. Morfologia accidentata del territorio, scarsità di copertura vegetale, incremento degli eventi estremi meteorologici, tropicalizzazione dell'area mediterranea, impermeabilizzazione del territorio, assenza di coordinamento tra gli strumenti di pianificazione territoriale e mancata valutazione negli strumenti valutativi (VIA e VAS) dell’adattamento territoriale, non potranno che acuire i rischi connessi al dissesto. E il Paese frana e la gente continua a  morire.

Il mio augurio è che  tutti i comuni possano dotarsi di piani di protezione civile funzionali, informando e addestrando i cittadini sui comportamenti da tenere in caso di emergenza, in quanto è l’unico modo per fronteggiare nell’immediato la estrema diffusione della problematica del rischio idrogeologico e quindi per salvaguardare le vite umane esposte. I Comuni devono essere protagonisti di una vera e propria ‘rivoluzione’ sul fronte della prevenzione, le tragedie passate devono rappresentare un monito affinché non se ne possano più consumare.

 

Ing. Giuseppe Deleonibus

Ingegnere per l’Ambiente e il Territorio

Tutela Ambientale e Controllo dell’Inquinamento