Ci scrive l’Ing. Deleonibus: Alcune considerazioni sull’emergenza rifiuti in Puglia

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La produzione di rifiuti fino a non molti anni fa veniva considerata una conseguenza dello sviluppo ed in alcuni testi addirittura un indicatore di benessere. Essa in realtà rappresenta un indicatore dell’inefficienza del sistema produttivo e costituisce oggi uno dei fenomeni più complessi da gestire in tutti i paesi industrializzati, sia per le sue implicazioni ambientali che per quelle economiche e sociali.

La grande quantità di rifiuti prodotti in Italia (oltre 140 milioni di tonnellate all’anno, a cui vanno aggiunti quelli che sfuggono ad ogni controllo) rappresenta il segno tangibile di un sistema orientato

verso una sempre maggiore dilatazione dei consumi.

La nozione assunta dallo stesso legislatore riguardo al rifiuto (l’atto del disfarsi) esprime l’esasperazione, in tutta la sua negatività, del processo dei consumi. L’etimologia stessa del termine rifiuto – ossia atto di diniego e di disconoscimento – esprime in maniera esplicita la volontà di rigettare qualcosa. In altri termini il modello di sviluppo finora assunto, fa si che oggi solo in Italia venga “disconosciuta” ogni anno l’esistenza di almeno 130 milioni di tonnellate di materia, la cui sostituzione comporta un nuovo prelievo di risorse presenti nei sistemi naturali.

Tale errato approccio culturale è responsabile del continuo aumento della produzione dei rifiuti sia in

quantità assolute che per abitante. In Italia, infatti, le statistiche degli ultimi 5 anni dicono che la produzione dei rifiuti urbani è cresciuta di quasi 2 milioni di tonnellate e pro capite di oltre 30 kg.

È di tutta evidenza l’insostenibilità ambientale di questo sistema, a fronte del quale occorre apportare radicali modifiche nei processi di consumo delle risorse e realizzare un virtuoso recupero dei materiali post-consumo. Si ritiene al riguardo necessario stimolare l’innovazione tecnologica per ottenere il cosiddetto fattore 10 [è la possibilità di ridurre, nell'arco della prossima generazione, di un fattore 10 (quindi di quasi il 90%) , con innovazioni tecnologiche di processo e di prodotto, l'input di materie prime ed energia nel processo economico].

(continua)


Occorre, infatti, perseguire uno sviluppo, che assicuri il rispetto delle leggi naturali di conservazione dell’ambiente, che sia dunque capace di garantire lo stello livello di beni e servizi con un minore impiego di risorse naturali.

Finora il sistema ha risposto al problema dei rifiuti semplicemente cercando di adeguare le capacità di smaltimento alla produzione dei rifiuti in continua espansione e spostando l’attenzione su “nuove” tecnologie di smaltimento (dalla discarica all’incenerimento, alla gassificazione).

Così le soluzioni appena individuate, la realizzazione di un’ulteriore discarica e/o la costruzione di un nuovo inceneritore, sembrano essere destinate a diventare in breve tempo insufficienti.

Il legislatore comunitario ha introdotto una normativa, con la quale si intende stimolare un processo virtuoso, innanzitutto, volto alla riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti e, secondariamente, al recupero degli stessi, mediante riciclo, reimpiego o reintroduzione nei circuiti produttivi.

Nell’indirizzo assunto dal legislatore comunitario, l’accezione positiva del recupero consente di poter

internalizzare i costi di produzione dei beni e visualizzare i veri costi del consumo.

Secondo questa normativa un bene diviene rifiuto non appena abbia cessato il suo primario ciclo di consumo. Pertanto, quando il singolo consumatore cessa di ritenerlo utile ad una qualsiasi funzione o è obbligato in tal senso, quel bene diviene immediatamente un rifiuto, anche se può essere riciclato o recuperato. Al fine di garantire la corretta gestione dei rifiuti e di prevenire forme di smaltimento pregiudizievoli per l’ambiente, si deve attribuire alla definizione di rifiuto offerta dal legislatore comunitario l’interpretazione maggiormente inclusiva.

La complessa gestione del rifiuto deve essere svolta nel rispetto di diversi principi comunitari: principio di integrazione tra le politiche di tutela dell’ambiente e gli altri settori, di precauzione, di prevenzione, di “chi inquina paga”, nonché dei principi di responsabilità individuale, di responsabilità condivisa, di prossimità e di “governance”. I costi di smaltimento devono essere interamente coperti da colui che crea il rifiuto e l’addebito degli stessi deve emergere in maniera chiara e trasparente, sia nella catena di produzione che nelle tariffe pubbliche.

Un problema complesso come quello dei rifiuti, richiede risposte altrettanto complesse ed articolate sia sul fronte della pianificazione che delle tecnologie per ridurre drasticamente la quantità dei rifiuti prodotti e la loro pericolosità.

Tutti i Piani dei rifiuti che ho potuto analizzare nella nostra regione si avventurano speditamente e imprudentemente verso la chiusura del ciclo, pur dopo aver dato larga e apparente enfasi alle fasi preliminari previste dalla normativa. Queste ultime sono rimaste sempre, nel passato come nel presente,

soltanto al livello di buone intenzioni e non hanno mai prodotto proposte e progetti di impianti per la chiusura delle filiere orizzontali.

Relativamente alla riduzione della produzione dei rifiuti, attualmente non appare essere presente, una programmazione articolata di sostegno e coinvolgimento dei produttori (principio europeo di responsabilità condivisa) oltre che l’incentivazione dei consumatori attraverso, ad esempio, gli strumenti dell’accordo di programma con i soggetti produttori di beni, la grande distribuzione, i consorzi del CONAI (principio europeo di governance).

Se in questo momento si dovesse optare per il ricorso alla combustione (incenerimento e gassificazione) si opererà un corto circuito con la terza e ultima fase dello smaltimento prevista dalle normative si ipotizzano degli impianti detti di preselezione (con ciò volendo alludere che si tratti di impianti di recupero di materia prima), mentre si tratta di impianti che preparerebbero il materiale raccolto “tal quale o indifferenziato” per l'incenerimento della frazione secca e lo smaltimento in discarica della frazione organica stabilizzata (FOS).

A ulteriore supporto di tale asserzione si consideri che, di fatto, il dimensionamento degli impianti di

pretrattamento o preselezione è tale da assorbire buona parte della produzione di rifiuti urbani, e non

solo la parte residua dalle raccolte differenziate, relegando pertanto la differenziata “a regime” sicuramente ad un ruolo marginale.

La gestione dei rifiuti non può essere basata su una sola idea guida, irreversibile, poco flessibile come l’incenerimento o costosi impianti di selezione dell’indifferenziato, ma dovrà essere, invece, basata su numerose e diversificate iniziative e metodi flessibili volti ad individuare i punti chiave di intervento nel sistema ed a raggiungere di concerto gli obiettivi, peraltro non solo quelli già precisati dalla legislatura perché già superati da molte ed estese realtà territoriali.

La soluzione della combustione dei rifiuti, anche quello con recupero energetico, riuscirebbe a coprire solo la componente non prevalente dei rifiuti urbani, la frazione secca, tra l’altro, valorizzabile altrimenti. Si pone, in maniera evidente il problema dello smaltimento della restante frazione maggioritaria (FOS), generata dagli attuali impianti. Infatti le attuali normative prevedono per la FOS esclusivamente l’utilizzo nelle bonifiche di discariche esaurite o nel riempimento di cave abbandonate; di fatto però la sua pessima qualità ne comporta il semplice smaltimento in discarica.

Dunque il sistema di gestione rifiuti previsto dall’ultimo Piano risulta ancora fortemente dipendente dal sistema discarica (44 -48 %, nell’ipotesi che tale voce includa le ceneri da incenerimento).

Si aggiunga che una gestione dei rifiuti basata sugli impianti di preselezione dell’indifferenziato, con

produzione della frazione secca e suo incenerimento ha dei costi rilevanti, quantificabili in circa 25-30 €cents/Kg. Al contrario, la raccolta differenziata spinta, con l’utilizzazione dell’impiantistica dedicata al monomateriale per la sua qualificazione come materia, ha costi in molti casi inferiori ai 9 €cents/Kg.

Una società sostenibile è quella in cui il problema dei rifiuti viene affrontato alla radice, cioè rimovendo le cause che portano all’accumulo dei residui post-consumo, ovvero una errata progettazione e produzione industriale e/o di un’errata modalità di consumo. A tale scopo deve essere promosso e attuato uno sforzo, anche da parte delle amministrazioni pubbliche, per indirizzare le scelte produttive verso un modello economico basato sulla valorizzazione delle risorse, sulla smaterializzazione dei consumi e sulla sostenibilità ambientale. Secondo questa vision il cittadino potrebbe essere ritenuto responsabile solo del residuo organico che produce, tutto il resto potrebbe essere considerato rifiuto industriale, cioè espressione di una cattiva progettazione industriale, per la quale il cittadino non dovrebbe pagare le spese.

Restando valido l’assunto che “il miglior rifiuto è quello non prodotto”, si ritiene opportuno un salto

culturale nella definizione di rifiuto, limitandola al concetto della non ulteriore riutilizzabilità dei materiali; verrebbe così ad essere destinato allo smaltimento solo ciò che, per le sue caratteristiche fisiche e chimiche, o per la sua ridotta quantità, non è più interamente ed immediatamente utilizzabile in attività umane o cicli naturali.

Tra le azioni necessarie per conseguire gli obiettivi di riduzione della quantità e della pericolosità dei

rifiuti meritano di essere promosse: l’introduzione dei cosiddetti “acquisti verdi”; la creazione di specifiche figure professionali all’interno delle amministrazioni pubbliche e delle aziende, incaricate

esclusivamente alla gestione dei rifiuti, affidandole obiettivi di diminuzione dei rifiuti e di recupero di materia dagli stessi; la promozione delle certificazioni di qualità gestionali come ISO 9000 ed ambientali come ISO 14000 ed EMAS o di prodotto come Ecolabel; la realizzazione di Sistemi Informativi Territoriali applicati alla gestione dei rifiuti; l’implementazione dei procedimenti relativi all’Autorizzazione Ambientale Integrata.

Accanto alla riduzione, deve essere promosso il recupero dei rifiuti. L’avvio di un mercato legato al recupero dei rifiuti non deve essere tuttavia un ostacolo alla riduzione della produzione degli stessi, deve tendere alla riduzione degli scarti dall’attività di recupero, nonché non deve avere ripercussioni sull’ambiente e sulla salute pubblica. Pertanto, dovranno essere privilegiate le soluzioni tecniche e gestionali che portino ad un riutilizzo della materia e che non incentivino la produzione dei rifiuti. In particolare la potenzialità degli impianti di recupero non deve costituire un vincolo tale da contrastare i processi di riduzione dei rifiuti e la riduzione degli impianti stessi.

Basta con la crescita incontrollata dei dati della raccolta differenziata! La vera crescita di questo dato non corrisponderebbe all’emergenza attuale!

Per il perseguimento degli obiettivi di recupero, deve essere sviluppata al massimo la raccolta differenziata e deve essere sostenuta la raccolta domiciliare a più frazioni (a partire dal secco/umido),

con l’eliminazione dei cassonetti e delle campane stradali e applicazione della tariffa puntuale. Si è potuto, infatti, osservare che questo modello comporta la raccolta di materia di migliore qualità e di più facile recuperabilità, nonché significativi vantaggi economici rispetto alle altre alternative di raccolta e di recupero; inoltre, consente il rispetto dei principi comunitari e, nell’ottica del miglioramento continuo, il perseguimento dell’obiettivo rifiuti zero. La raccolta domiciliare, inoltre, mette in relazione diretta il consumatore con i risultati delle sue scelte economiche, portandolo a maturare comportamenti più ambientalmente responsabili.

Purtroppo in Italia, a 13 anni dall’approvazione del Decreto Ronchi, sostituito dal Dlgs 152/06, non esiste una definizione univoca di raccolta differenziata: il decreto attuativo che doveva stabilire la metodologia e i criteri di calcolo delle percentuali di raccolta differenziata omogenei e standardizzati sul territorio nazionale non è mai stato emanato. L’esistenza di possibilità di interpretazione del concetto di raccolta differenziata (ad esempio molti gestori includono la raccolta degli inerti, in conflitto con la definizione proposta da APAT), rendono difficoltoso il trattamento e l’aggiornamento dei dati.

Poiché si ritiene strategico promuovere una suddivisione spinta dei materiali a monte finalizzata al recupero di materia, tale definizione univoca dovrebbe prevedere il calcolo della percentuale sulla base della somma della raccolta delle frazioni effettivamente avviate al riciclaggio, in rapporto al totale dei rifiuti prodotto (dato dalla somma dei rifiuti avviati a riciclo e quelli smaltiti). È questa la definizione assunta da Legambiente per l’assegnazione del noto “Premio Comuni Ricicloni”.

Il fallimento della RD in Puglia è fattore di crisi dell’intero ciclo e, secondo tutte le esperienze, deriva da errori sistematici; il sacchetto e il cassonetto stradale, la carenza di strutture finalizzate al recupero e i bassi costi di smaltimento in discarica sono i responsabili della paventata emergenza.

Come cittadino e contribuente della Regione Puglia, della città di Monopoli mi permetto di ripetere la mia modesta opinione che la soluzione può essere cercata soltanto nella ferma e coraggiosa attuazione dei primi due punti fondamentali dell'attuale normativa italiana ed europea:

(1) diminuzione della massa delle merci che sono destinate a diventare rifiuti,

(2) recupero di materiali dai rifiuti, cioè dalle merci usate.

Sul primo punto una amministrazione locale può fare relativamente poco perché la sua attuazione richiede interventi sulla produzione e sul commercio, modificabili soltanto con strumenti e standard di qualità che sono in mano ai governi nazionali.

Il secondo punto è invece in gran parte nelle mani delle amministrazioni locali.

Il recupero di materiali dalle merci usate dipende dai seguenti principali fattori:

(a) Una raccolta efficace di frazioni di rifiuti che siano adatte ad essere riciclate;

(b) Una intelligente e convincente informazione e "educazione" dei cittadini;

(c) Predisposizione di incentivi ad una rete di imprese (che potrebbero essere cooperative) in grado di trasformare le diverse frazioni omogenee ricavate dalla raccolta differenziata, in nuove merci, con adatti processi di riciclo;

(d) Incentivi alla creazione di un mercato delle merci riciclate.

Queste azioni possono essere realizzate rapidamente, se l'amministrazione avrà il coraggio di superare e rimuovere le pigrizie dei cittadini, della burocrazia, delle stesse imprese di raccolta e riciclo e le potenti pressioni dei venditori di inceneritori, potenziali fonti di affari anche nella profittevole vendita dell'elettricità, e fonti sicure di nocività ambientali sotto forma di inquinamenti atmosferici e di produzione di ceneri inquinanti.

A questo proposito mi permetto di ribadire che gli inceneritori possono funzionare soltanto bruciando sostanze dotate di potere calorifico, cioè principalmente carta e plastica, proprio le sostanze che potrebbero alimentare processi di raccolta separata e di riciclo. In altre parole la scelta di costruire inceneritori riduce e preclude l'efficacia delle azioni di riciclo: o si ricicla o si brucia.

L'attuazione di operazioni di raccolta differenziata delle frazioni riciclabili e del loro avvio al riciclo presuppone il superamento della attuale struttura della raccolta dei rifiuti che è stata progettata, sia nella raccolta dei rifiuti indifferenziati, sia in quella fallimentare del "multimateriale", in vista del destino alla discarica o all'incenerimento.

 

ing. Giuseppe DELEONIBUS

Ingegnere per l’Ambiente e Territorio

Tutela Ambientale e Controllo dell’Inquinamento