Ci scrive l’Ing. Deleonibus: Il nucleare, il Pd e Veronesi

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I due grandi paradigmi della fisica moderna (incompatibili tra loro) sono la Relatività Generale e la Meccanica Quantistica. Einstein ricevette il premio Nobel per la Relatività Generale; Niels Bohr, Erwin Schrodinger, Werner Hesiembreg, Paul Dirac ricevettero il nobel per apporti diversi alla Rivoluzione Quantistica. Il nostro Carlo Rubbia l’ha ricevuto per la scoperta dei bosoni deboli che mediano la forza elettrodebole. In un Paese normale, che vuole fare una scelta impegnativa come l’uso dell’energia nucleare per generare elettricità, il Nobel Rubbia, quantomeno, sarebbe nella rosa dei nominabili a presiedere l’Agenzia Nucleare. Rubbia però non crede nel ritorno al nucleare, giudicandolo costoso e con problemi irrisolti che riguardano scorie, decommissioning e sicurezza. La scelta è ideologica (scelgo chi è d’accordo con me a prescindere) e soprattutto politica (battere la maggioranza nel PD ostile al nucleare, e spaccarlo ulteriormente nominando un suo senatore): si nomina, quindi, un soggetto che non ha alcuna competenza nel campo dell’energia nucleare, Veronesi! Il centro destra nel campo del nucleare ha scelto sempre innaturalmente: la Sogin, che dovrebbe gestire le scorie nucleari, ebbe come commissario straordinario il generale degli alpini Carlo Jean che sostituì un fisico nucleare. Quale persona normale dotata di etica della responsabilità nominerebbe un Rubbia a dirigere l’Istituto dei Tumori? Veronesi dichiara che possiede la laurea in fisica “honoris causae”. Anche Vasco Rossi e Valentino Rossi hanno la laurea honoris causae! L'aurotevolezza è importante ma non può essere strumentalmente utilizzata per coartare consenso , su questioni nodali come quella della energai nucleare. Nel merito della scelta nucleare, per quanto mi riguarda, osservo che motivazioni economiche, industriali, sociali, di politica energetica e infine strategiche, inducono a esprimere un no a tutto tondo! Motivazione industriale: il reattore EPR (Evolutionary Power Reactor) utilizza il processo di fissione dell’uranio. Tale elemento radioattivo ha una disponibilità rilevabile dal diagramma Worldwide Uranium Resource Utilization, tratto dal documento ufficiale degli Stati Uniti denominato "A Technology Roadmap for Generation IV Nuclear Energy Systems" del 2002. Dal Grafico si apprende che le disponibilità dell’uranio, comprese le risorse speculative, quindi non certe, arriverebbero sino al 2060 con i 438 reattori oggi esistenti.

(continua)

Certamente l’uranio è presente nella crosta terrestre, e anche nell’acqua, ma il Rapporto degli olandesi Storm Van Leeuwen e Smith dimostra che l’energia necessaria nei processi di estrazione e lavorazione dell’uranio dipende in maniera determinante dalla concentrazione! Ora l’uranio può anche esserci, ma se la concentrazione è inferiore a un certo valore, diventa inutile estrarlo, perché la quantità di energia che s’impiega è superiore a quella che si ottiene con la fissione (il valore limite è compreso tra 0,01 e 0,02, il che vuol dire che per avere 1 kg di uranio devo estrarlo da 10 o 20 tonnellate di roccia uranifera), figuriamoci nell’estrarlo dall’acqua di mare! Alla carenza di uranio per questa tecnologia nucleare si somma la constatazione che sono quattro le società in possesso degli impianti di arricchimento dell’uranio: Areva, Urenco, Rosatom e Usec. E ancora che il 40% di uranio è detenuto da Canada e Australia, e che con gli attuali ritmi di consumo si coprirà per 20 anni il fabbisogno dei reattori europei e americani. Si scambia l’oligopolio OPEC e non-Opec col ristrettissimo club dei detentori dell’Uranio? Tutta la scommessa, perché di questo si tratta, è nell’utilizzazione dell’uranio naturale (urano 238) nei cosiddetti reattori di IV generazione (reattori veloci in particolare) che forse saranno commercialmente operativi dal 2040. Alle affermazioni “massima sicurezza”, ai fini di una corretta informazione, cui anche chi ha la laurea “honoris causa” dovrebbe attenersi, è importante aggiungere che, tra i tanti problemi irrisolti (scorie “eterne”, siti da bonificare, rischio d’incidente), periodicamente un reattore nucleare scarica in atmosfera enormi quantità di gas radioattivi kripton-85 e iodio-131. La tecnologia nucleare presenta caratteristiche intrinseche che non sono comparabili, a quelle delle altre tecnologie! Il problema della sicurezza nucleare non può esser affrontata paragonando sul piano delle probabilità di "incidenti gravi" del reattore nucleare con quello di una centrale termoelettrica o di un impianto chimico. L'incidente nucleare , diversamente da altri tipi di incidenti, può interessare territori lontanissimi e le generazioni future come si è visto con Chernobyl. La spagnola Endesa è stata criticata l'anno scorso dal governo catalano, dopo che si erano verificati tre incidenti in tre rettori nucleari, per aver tagliato i costi e gli investimenti nella sicurezza. Motivazioni economiche: il kWh da nucleare è costosissimo! Il costo pubblicizzato è riferito al costo overnight, ovvero come se la costruzione avvenisse "nel corso di una notte", pertanto non comprende i costi finanziari. Le stime variano dai 3000 euro per kW secondo Keystone Center, e i 6000 per Moody's. Il "costo del kWh da nucleare" non è competitivo, e variabile tra 11 e 22 centesimi di euro. Costo diverso dai 3 centesimi strombazzati dai media, costo riferito a impianti ammortizzati e a vecchi contratti di fornitura dell'uranio, quando costava un quinto rispetto a oggi. I parametri finanziari sono le voci più controverse, sulle quali si gioca la partita per il calcolo del costo del kWh. Nel caso italiano, l'art 7 del D.L. 112/2008 statuisce per il nucleare "nessun onere" per lo Stato. La pensa diversamente il Senatore Possa (PDL), sostenitore di "provvedimenti del Governo da assumere per l'incentivazione del nucleare". Nelle stime di costo le valutazioni più contenute riguardano le scorie, la valutazione dello smantellamento della centrale (stima bassa e uso di tassi di attualizzazione scandalosi per ridurre la quota nei piani finanziari, presi a riferimento da banche e investitori) e l'omissione dei costi assicurativi. I parametri tecnici del "nuovo nucleare" saranno tutti da verificare quando funzioneranno i 2 reattori in costruzione: il rendimento (trasformazione in elettricità del 37% in luogo del 33%), il periodo di funzionamento (60 anni invece di 40), il fattore di utilizzo degli impianti (8300 ore all'anno invece di 7000 ore), l’efficienza di sfruttamento del combustibile (burn-up). Di certo sappiamo che il costo delle scorie tedesche ammonta a 100 mld di euro, per gli inglesi 90 mld di euro, e per le 70.000 tonnellate del sito del Nevada gli USA stimano 58 mld di $. Il nucleare è un settore ad alto investimento e a bassa resa, comunque non alla portata dell'imprenditore privato. Senza incentivazioni di Stato in termini di assunzione dei costi per le scorie, smantellamento, sicurezza, garanzie finanziarie e benefici fiscali è un’impresa senza futuro. Olkiluoto e Flamnville presentano situazioni di finanziabilità totalmente diverse da quelle italiane! La Francia ha 58 centrali operative (tutte ammortizzate) e 17 dovranno essere sostituite dal 2017, ed è per questo che la potenza nucleare francese passerà dai 63 milioni di kW del 2005 ai 55 del 2030 (Commisariat all’energie atomique in “Memento sur l’energie” pag 46). A Olkiluoto un pool d’imprese ha acquistato a prezzo predefinito tutta l’energia che sarà prodotta dal reattore, azzerando il rischio di mercato e ottenendo da Standard & Poors un rating di tripla “B”, e conseguentemente un tasso ultrabasso di finanziamento del 2,6%, oltre che singolari finanziamenti da parte di Coface (credito all’esportazione) e Swedish Export Agency. Nel nostro Paese l’industria manifatturiera assorbe circa 90 miliardi di kWh, insomma quasi quanto sarà prodotta al 2020, non dai 4 reattori programmati ma da 7 reattori, giacché saranno le imprese, energivore, ad assorbire gran parte dell’elettronucleare. Le "cose non dette" sul nucleare riguardano la responsabilità civile. Il regime giuridico internazionale per il settore nucleare poggia su due strumenti: lo Joint Protocol adottato nel 1988 e il Protocollo alla Convenzione di Vienna, entrato in vigore nel 2003. La Convenzione di Bruxelles nel 2004 ha stabilito nuovi limiti per la responsabilità di coloro che gestiscono attività nucleari, pari a 700 mil. euro. I costi di Chernobyl ammontano a centinaia di miliardi di euro, quindi il limite alla responsabilità equivale a stabilire che sono gli Stati a sopportare gli oneri in caso d’incidente. Negli Stati Uniti il Price – Anderson Act pone a carico della collettività la responsabilità civile per eventuali incidenti. Nel 2003 un Rapporto (Solutions for environment economy and technology) della DG Ambiente (UE) stima che se Electricitè de France (EdF) dovesse sottoscrivere un’assicurazione sui rischi dei reattori, il costo del kWh nucleare crescerebbe di tre volte! Nel gennaio 2005, la Corte dei conti francese ha scoperto che a fronte di 13 miliardi di euro di accantonamenti, dichiarati da Electricité de France per lo smantellamento delle centrali nucleari, e per la gestione delle scorie radioattive, esistevano solo 2,3 miliardi di attivi effettivamente dedicati allo scopo.I 4 reattori programmati produrranno una quantità di elettricità pari al 12,5% del fabbisogno elettrico. Poiché l’elettricità incide per il 18% sul bilancio energetico italiano, la scelta nucleare inciderà sul bilancio energetico italiano per il 2,5%. Chi finanzierà il nucleare? La joint venture è tra Enel e EDF. Enel ha 54 miliardi di euro di debito, tanto che Standard & Poor’s gli ha abbassato il rating. EDF ha la metà del debito di Enel, e ha annunciato un robusto programma di disinvestimento per finanziare il suo nucleare.
Dal punto di vista sociale è palesemente evidente che i cittadini non vogliono il nucleare dove vivono. Infine le motivazioni di politica energetica dovrebbero indurre a puntare sulle tecnologie pulite rinnovabili e con costi relativamente contenuti. Abbiamo letto le obiezioni del segretario del PD Bersani sull’inopportunità del nucleare, e sulla necessità che il Sen. Veronesi si dimetta da parlamentare. Io aggiungo che il Prof. Veronesi ha anche un altro conflitto d’interesse: è’ membro del comitato scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che è una fondazione creata dal Ministro Tremonti con 100 milioni annui di dotazione (in pratica una quantità di risorse maggiore di quelle assegnate a tutta la ricerca di base italiana!). Nel Consiglio Scientifico dell’ITT siede il Prof. Veronesi. L’ITT ha finanziato l’IEO (Istituto Europeo di Oncologia) di cui il Prof. Veronesi è direttore scientifico. Non è anche questo un conflitto d’interesse, On. Bersani?

 

ing. Giuseppe DELEONIBUS
Ingegnere per l'Ambiente e il Territorio
Tutela Ambientale e Controllo dell'Inquinamento