1414: Monopoli si ribella

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In Italia quando si parla di volani per la crescita, il pensiero vola immancabilmente al cemento. Sembra l’unico moltiplicatore che dia garanzie e che abbia due grossi vantaggi per la classe politica: mantenere quote di potere autoreferenziale, e non impegnare molto i neuroni in faticose elucubrazioni, giacché, organizzare e gestire appalti è semplice.

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Altro è pianificare controlli e verifiche. I dati dell’Autorità della vigilanza sui contratti pubblici relativi al 2011 ci dicono che gli appalti in Italia valgono l’8,1% del PIL. Di questi quelli che superano i 150.000 euro sono l’86%. Le cosiddette “grandi opere”. A fronte di ciò Eurostat ci dice che l’Italia è all’ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura (1,1% a fronte del 2,2% dell’Ue a 27) e al penultimo posto, seguita solo dalla Grecia, per percentuale di spesa in istruzione: l’8,5% a fronte del 10,9%. Leggevo questi dati “in nuce” a delle riflessioni sulla scoperta del torrione cinquecentesco, avvenuta nei giorni scorsi in seguito ai lavori di rifacimento della piazza XX Settembre. Mi chiedevo, ingenuamente forse, come mai non si possa capovolgere il corso degli eventi. La rilevante scoperta archeologica è avvenuta “per caso” in seguito ad un progetto di sistemazione di un sito pubblico. Ma non si potrebbe partire dall’assunto che cercare di riportare alla luce preziosi reperti del nostro passato possa essere una priorità? E indirizzare conseguentemente risorse che vadano ad investire in quella “posta” di PIL tanto trascurata? L’effetto economico moltiplicativo derivante da un’azione del genere sulla nostra città, dalla vocazione turistica (come amiamo definirla) sarebbe rilevante e non confinerebbe il risultato nei ristretti ambiti estivi, come finora ciecamente si è operato. La moderna archeologia utilizza sistemi di sondaggio preventivo (“carotaggio”) che permette di stratigrafare il terreno consigliandone o meno lo scavo. Immaginiamo come sarebbe suggestivo riportare alla luce i resti della principale Porta Nuova della città, probabilmente giacenti sotto largo Plebiscito. Oppure ritrovare nei pressi di Largo Fontanelle segni della presenza dell’antico monastero domenicano. O rivivere le epiche vicende svoltesi al cospetto delle guglie dell’antico Castello/Acropoli, dove qualche rudere certamente riposa sotto largo Vescovado.
La storia dell’antico castello della città affonda le sue radici nella notte dei tempi. Le vicende che ne hanno caratterizzato l’esistenza hanno un sapore vagamente leggendario. A quel tempo due giganti si fronteggiavano e si alternavano al potere nel teatro tattico-strategico del Mediterraneo: Bisanzio e il Normanno. Per tutti gli storici la matrice normanna di questo fortilizio è fuori discussione. Esattamente si trovava “all’incontro del giardino del palazzo vescovile e le case del Monte Splues, e girava per la strada, per cui si va a S.Domenico” (Cronaca Indelliana). Tuttavia, se indubbiamente, la dominazione normanna iniziata nel 1043, costrinse a trasformare l’architettura difensiva della città, insabbiando l’antico porto-golfo, e rinforzando gli avamposti rivolti verso l’interno, la presenza di un sito “attrezzato” nella zona è già segnalata dall’Indelli, nella sua cronaca, nel 968, quando, descrivendo brevemente le fortificazioni della città (le antiche mura terminavano prima dell’antica chiesetta di S. Caterina “extra moenia”) elenca, tra le altre, “un’Acropoli ove adesso è l’Episcopio”. Qualche indizio dell’esistenza di una qualche opera difensiva pre-normanna si riscontrerebbe anche nel contesto delle vicende che portarono Costante II a scacciare i Longobardi nel 663, dove alcune cronache riferiscono che “…prese i castelli e di paesi della marina Oria, Celia, Conversano, Monopoli, Bari”. Nel campo solo delle ipotesi sconfina quindi un’origine addirittura Longobarda del “castrum”, dato che nel 659 il re Grimoaldo, dovendo effettuare un breve soggiorno a Monopoli, “vi fece costruire varie chiese” (Indelli). Domenico Capitanio (“Il sistema difensivo e la città”, Monopoli nel suo passato, V) riportando le parole dell’Abate Corona lo descrive come “di dimensioni spropositate rispetto alla città, come un capo in un corpo nano, fatto di grossissime pietre, sorgeva su una bella piazza…nel luogo più alto…pareva fusse posto sulle spalle della città…da sopra poi si scopriva tutta la campagna, in modo che la si poteva tenere sempre netta”). Solo queste “grossissime pietre”, non supportate però da alcun ritrovamento, potrebbero far supporre la sovrapposizione di strutture medievali ad un origine primieramente classica.

L’antico castello fu distrutto nel 1414 (a colpi di artiglieria, ci informa ancora Capitanio). Il Saponaro (V. Saponaro, “Monopoli tra storia e immagini, dalle origini ai giorni nostri”, Fasano 1993) scrive: “I cittadini di Monopoli si ribellarono al castellano, per soprusi e angherie sofferte e assaltarono il castello, radendolo quasi al suolo e uccidendo il castellano”. Più specificamente, le “angherie” a cui si allude erano favoritismi sulle gabelle e concussioni praticate dagli Ufficiali Regi verso coloro che potevano “ungerli” (Nihil sub sole novi…). Il Nardelli invece attribuisce le cause alla prepotenza del Castellano quale custode delle chiavi delle Porte, nell’aprirle molto tardi, anche nella stagione invernale. Fu poi inviata una delegazione alla sovrana Giovanna II per spiegare i motivi del gesto, che non erano attribuibili a ribellione, ma a resistenza contro i soprusi, e la regina perdonò e confermò i privilegi già concessi dal predecessore Ladislao. Insomma, i cittadini di Monopoli sacrificarono la loro “perla” difensiva pur di sottrarsi con orgoglio alle prevaricazioni del “potente” dominatore di turno. Altri tempi altre coscienze.